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Massimario



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IMPUGNAZIONI PENALI

Appello – Sentenza di riforma di quella di condanna di primo grado – Motivazione – Contenuto – Sindacato di legittimità. (C.p.p, articoli 546, 605 e 606)
Il giudice di appello è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento; obbligo che, in caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado, impone anche l’adeguata confutazione delle ragioni poste a base della sentenza riformata. In una tale situazione di contrasto da parte dei giudici di merito, il giudice di legittimità ben può esaminare la sentenza di primo grado e valutare se il secondo giudice, nel sostituire il proprio modo di vedere a quello risultante dalla sentenza appellata, abbia tenuto nel debito conto, sia pure per disattenderle, le argomentazioni esposte da quest’ultima: la valutazione del giudice di secondo grado, soprattutto se la difformità concerne l’affermazione o l’esclusione della responsabilità dell’imputato, non può essere infatti superficiale o arbitraria e tale invece si rivelerebbe qualora disattendesse in modo irragionevole o se omettesse persino di prendere in esame i contrari argomenti del primo giudice (sezioni Unite, 12 luglio 2005, Mannino).
Sezione IV, sentenza 18 novembre – 19 dicembre 2008 n. 47387 – Pres. Mocali; Rel. Visconti; Pm (diff.) Di Popolo; Ric. Corsi.

STATUS E CAPACITA'

Diritti della persona – Riservatezza – Tutela penale – Trattamento illecito di dati personali – Ambito di operatività – Trattamento effettuato da persone fisiche per fini personali – Clausola limitativa – Sussistenza – Fattispecie. (Legge 31 dicembre 1996 n. 675, articolo 35; D.Lvo 30 giugno 2003 n. 196, articoli 5 e 167)
Il reato di trattamento illecito di dati personali, già previsto dall’articolo 35 della legge 31 dicembre 1996 n. 675 (ora previsto, in rapporto di continuità normativa, dall’articolo 167 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196), non è configurabile allorché ricorrano le condizioni di cui alla clausola limitativa introdotta dall’articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 196 del 2003, secondo cui il trattamento di dati personali se effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali «è soggetto all’applicazione del presente codice (ergo, il codice della privacy) solo se i dati sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione» (da questa premessa, in una fattispecie in cui gli imputati si erano introdotti abusivamente nella rete informatica del gestore telefonico Tim e avevano acquisito i dati del tabulato telefonico di una persona per raccogliere prove da fornire alla committente circa l’infedeltà del marito, la Corte, mentre ha rigettato il ricorso relativamente al reato di cui all’articolo 615-ter del C.p., ha annullato la condanna limitatamente al reato di cui all’articolo 35 della legge n. 675 del 1996, apprezzando come nel caso concreto difettasse la destinazione dei dati raccolti alla comunicazione sistematica o alla diffusione, per essere stati questi acquisiti per fini esclusivamente personali della committente).
Sezione V, sentenza 22 ottobre – 17 dicembre 2008 n. 46454 – Pres. Amato; Rel. Oldi; Pm (parz.diff.) D’Angelo; Ric. Polimeni e altro

LAVORO

Infortuni sul lavoro – Malattie professionali – Posizione di garanzia – Assunzione – Svolgimento di fatto delle funzioni di garanzia – Rilevanza – Soggetto che ricopra solo formalmente la posizione di garanzia – Preteso esonero da responsabilità – Esclusione – Ragione – Fattispecie.
(D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, articolo 4; D.Lvo. 9 aprile 2008 n. 81, articolo 18)
In base al principio di «effettività», responsabile delle violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di impresa è chi “di fatto” ha esercitato i poteri corrispondenti alle funzioni svolte. Ma ciò non comporta l’esonero automatico della responsabilità di chi “formalmente” ricopra la posizione di garanzia, giacché l’assunzione di tale posizione comporta, di per sé, il sorgere dell’obbligo di protezione dei beni alla cui preservazione tale posizione è preordinata. Si tratta di una posizione di garanzia che non viene meno solo perché il titolare di essa rifiuta di esercitare i suoi poteri o consente che altri li svolgano per esso. In questa prospettiva, il garante formale, se ritenga di non essere stato posto in grado di svolgere le sue funzioni, per sottrarsi alle responsabilità conseguenti al conferimento delle funzioni, ha l’unica possibilità di rifiutare tale conferimento, di dimettersi o comunque di rinunciare alla qualità da cui derivano gli obblighi di protezione e controllo. (Affermazione resa nell’ambito di cui un procedimento penale relativo a decessi conseguenti a malattie professionali, in cui la Corte ha rigettato il ricorso di uno degli imputati, che all’epoca dei fatti aveva svolto le funzioni di presidente del consiglio di amministrazione della società, assumendo per l’effetto la posizione di garanzia, argomentato sostenendo che di fatto le funzioni erano state svolte dal padre, onde non poteva essere chiamato a rispondere delle violazioni delle regole cautelari).
Sezione IV, sentenza 29 ottobre – 19 dicembre 2008 n. 47380 – Pres. Campanata; Rel. Brusco; Pm (parz. diff.) D’Ambrosio; Ric. Pilato e altri

PUBBLICO MINISTERO

Attività – Impugnazione del pubblico ministero – Sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – Impugnazione del procuratore generale – Limiti. (C.p.p., articoli 444 e seguenti e 570)
In tema di patteggiamento, l’accordo delle parti sulla pena non può essere oggetto di recesso, sicché è inammissibile l’impugnazione del procuratore generale fondata su censure che si risolvono in un recesso d’accordo, non potendosi riconoscere ad altro ufficio del pubblico ministero, nonostante la sovraordinazione gerarchica e la titolarità di un autonomo potere di impugnazione, un potere che spetta alle parti. Infatti, il procuratore generale, pur non essendo partecipe dell’accordo ed essendo titolare, a norma dell’articolo 570 del C.p.p., di un autonomo potere di impugnazione, non può far valere per il solo pubblico ministero una sorta di “ripensamento”, che non è consentito all’imputato e che non può essere oggetto di discriminazione tra le parti del negozio processuale. L’impugnazione, invece, è consentita solo allorquando l’accordo recepito in sentenza si ponga in contrasto con specifiche disposizioni normative e si configuri, pertanto, come illegale. (Nella specie, è stato dichiarato inammissibile il ricorso del procuratore generale che si doleva, in particolare, del riconoscimento in sede di patteggiamento dell’ipotesi attenuata di ricettazione di cui all’articolo 684, comma 2, del codice penale).
Sezione II, sentenza 5-18 dicembre 2008 n. 46983 – Pres. Pagano; Rel. Diotallevi; Pm (diff) Baglione; Ric. Pg appello Palermo in proc. Fruschi.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO

Condotta materiale – Privazione della libertà personale del soggetto passivo del reato di rapina – Concorso tra il reato di rapina e quello di sequestro di persona – Configurabilità – Condizioni. (C.p., articoli 605 e 628, comma 3, n.2)
La privazione della libertà personale costituisce ipotesi aggravata del delitto di rapina (e rimane in essa assorbita) solo quando la stessa si trovi in rapporto funzionale con l’esecuzione della rapina medesima; mentre, nell’ipotesi in cui la privazione della libertà non abbia una durata limitata al tempo strettamente necessario alla consumazione della rapina, ma ne preceda o ne segua l’attuazione, in ogni caso protraendosi oltre il suddetto limite temporale, il reato di sequestro di persona concorre con quello di rapina.
Sezione II, sentenza 5-18 dicembre 2008 n. 46975 – Pres. Pagano; Rel. Diotallevi; Pm (conf.) Baglione; Ric. Accardo e altro

REATI CONTRO LA PERSONA

Omicidio e lesione personali colposi plurimi - Natura giuridica – Disciplina – Conseguenze ai fini della prescrizione. (C.p., articolo 589, comma 3)
L’ipotesi prevista dall’articolo 589, comma 3, del C.p. configura un’ipotesi di concorso formale di reati con unificazione solo ai fini della pena che fa permanere integra la pluralità di reati con la conseguente autonomia del computo della prescrizione per ciascuno dei reati unificati.
Sezione IV, sentenza 29 ottobre – 19 dicembre 2008 n. 47380 – Pres. Campanato; Rel. Brusco; Pm (parz. diff.) D’Abrosio; Ric. Pilato e altri.

STUPEFACENTI

Attività illecite – Detenzione – Nozione. (D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, articolo 73)
Ai fini della configurabilità della condotta materiale della detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, il termine «detenzione» non implica necessariamente un contatto fisico immediato con la sostanza stupefacente, ma va inteso come disponibilità di fatto di questa, realizzata anche senza l’esercizio continuo di non potere manuale - continuo e/o immediato - su di essa da parte del soggetto attivo.
E’ detentore, in buona sostanza, non solo chi «ha» la droga presso di sé, fisicamente, ma anche chi, pur in assenza di alcun contatto materiale, ne può liberamente «disporre», conoscendo il luogo di custodia e avendone libero accesso.
Sezione IV, sentenza 13 novembre – 22 dicembre 2008 n. 47472 – Pres. Brusco; Rel. Piccialli; Pm (conf.) Di Popolo; Ric. Pg appello Bologna in proc. Mara

CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA

Guida sotto l’influenza dell’alcool – Accertamento dello stato di ebbrezza – Etilometro – Rilevanza – Limiti - Conseguenze a seguito della novella legislativa che ha stabilito diversi valori alcolemici. (D.Lvo. 30 aprile 1992 n. 285, articolo 186)
Ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’articolo 186 del codice della strada (D.Lvo. 30 aprile 1992 n. 285), anche a seguito della novella riformatrice di cui al decreto legge 7 agosto 2007 n. 117, convertito dalla legge 2 ottobre 2007 n. 160, che, sostituendo il comma 2 della suddetta norma incriminatrice, ha solo determinato un differenziato trattamento sanzionatorio a seconda del valore del tasso alcolemico riscontrato, il giudice può pur sempre formare il suo libero convincimento in basa a elementi probatori acquisiti diversi dell’esito dell’alcooltest, ai sensi dei principi generali in materia di prova (principio del libero convincimento, assenza di prove legali, necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata). Peraltro, la possibilità per il giudice di avvalersi, ai fini dell’affermazione della sussistenza dello stato di ebbrezza, delle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori può il più delle volte circoscriversi alla sola fattispecie meno grave, quella di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 186, imponendosi per le ipotesi più gravi l’accertamento tecnico del livello effettivo di alcool.
Sezione IV, sentenza 28 novembre – 19 dicembre 2008 n. 47404 – Pres. Visconti; Rel. Bricchetti; Pm (Diff.) Febbraro; Ric. Pg appello Bari in proc. Giungi.

POLIZIA GIUDIZIARIA

Attività – Fatti illeciti commessi da un lavoratore – Attività di controllo – Limitazioni stabilite dallo Statuto dei lavoratori – Esclusione. (C.p.p., articoli 55 e 347 e seguenti; legge 20 maggio 1970 n. 300, articoli 2 e 3)
In presenza di fatti illeciti commessi dal lavoratore (nella specie, si procedeva per l’ipotesi di truffa aggravata commessa da pubblico dipendente in danno dell’amministrazione di appartenenza) nessuna limitazione può sussistere per l’attività di accertamento della polizia giudiziaria (articolo 55 del C.p.), la quale può certamente procedere (tra l’altro) ad attività di pedinamento e osservazione, non potendosi certamente opporre in senso contrario le limitazioni contenute negli articoli 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori che riguardano solo il datore di lavoro e sono operative all’interno del rapporto lavorativo, laddove si vuole tutelare il soggetto “debole” da eventuali abusi nella’attività di vigilanza e sorveglianza.
Sezione II, sentenza 30 ottobre – 2 dicembre 2008 n. 44912 – Pres. Bardovagni; Rel. Iasillo; Pm (conf) Mura; Ric. Sozzo

 

Attività – Pedinamento – Legittimità – Condizioni. (C.p.p., articoli 55 e 189)
Le attività di osservazione, controllo e pedinamento svolte dalla polizia giudiziaria non sono intrusive della sfera privata, perché non limitano, diversamente dalle ispezioni, dalle perquisizioni e dai sequestri, la libertà morale del controllato: tali attività vanno inquadrate nel novero dei mezzi destinati all’acquisizione di prove non disciplinate dalla legge, consentite dall’articolo 189 del C.p.p. senza necessità di decreto autorizzativo dell’autorità giudiziaria.
Sezione II, sentenza 30 ottobre – 2 dicembre 2008 n. 44912 – Pres. Bardovagni; Rel. Iasillo; Pm (conf) Mura; Ric. Sozzo

STATUS E CAPACITA’

Diritti della persona – Riservatezza – Tutela penale – Trattamento illecito di dati personali – Ambito di operatività – Modifiche normative – Continuità normativa. (Legge 31 dicembre 1996 n. 675, articolo 35; D.Lvo. 28 dicembre 2001 n. 467, articolo 3; D.Lvo. 30 giugno 2003 n. 196, articolo 167)
Vi è continuità normativa tra la condotta originariamente incriminata dall’articolo 35 della legge 31 dicembre 1996 n. 675, laddove si puniva l’indebita comunicazione e diffusione dei dati personali, e quella poi, nel tempo, sanzionata dapprima dall’articolo 13 del decreto legislativo 28 dicembre 2001 n. 467 e successivamente dall’articolo 167 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n.196, con la punizione della più ampia condotta dell’indebito trattamento dei dati personali. Infatti, la condotta di trattamento dei dati personali è comprensiva dalla comunicazione e della diffusione, mentre è rimasto identico l’elemento soggettivo, caratterizzato dal dolo specifico del fine trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno.
Sezione III, sentenza 23 ottobre – 16 dicembre 2008 n. 46203 – Pres. De Maio; Rel: Amoresano; Pm (diff.) Di Popolo

 

Diritti della persona – Riservatezza – Tutela penale – Trattamento illecito di dati personali – Ambito di operatività – Numero di cellulare – Rilevanza. (D.Lvo. 30 giugno 2003 n. 196, articolo 167)
Rientra tra i dati personali la cui indebita diffusione è sanzionata dall’articolo 167 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 (come, in precedenza, lo era dall’articolo 35 della legge 31 dicembre 1996 n. 675) anche il numero dell’apparecchio cellulare.
(Nella fattispecie, l’indebita diffusione è stata ravvisata a carico di un soggetto che aveva diffuso l’utenza cellulare della persona offesa aprendo una casella di posta elettronica sia pure con indirizzo di fantasia).
Sezione III, sentenza 23 ottobre – 16 dicembre 2008 n. 46203 – Pres. De Maio; Rel: Amoresano; Pm (diff.) Di Popolo

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